Non è esagerato affermare che Jan Gehl ha avuto un impatto maggiore su più città di qualsiasi altra persona negli ultimi dieci anni. Da Amman a Zurigo, passando per New York, Riga, Città del Capo, Muscat, Melbourne e Wellington, il pioniere della pianificazione urbana danese ha lavorato con circa 70 città dalla fondazione della sua società Gehl Architects nel 2000. Ha dedicato tutta la sua carriera fin dal suo arrivo i suoi studi presso la Danish School of Architecture per reclamare le strade della città per pedoni e biciclette, nella convinzione che attrarre persone verso spazi pubblici sia ciò che porta alla vita una città.
Gehl ha insegnato architettura accanto al padre del modernismo scandinavo, Arne Jacobsen, diplomandosi nel 1960 quando l’ideologia dell’urbanistica modernista, unita al boom dell’industria automobilistica, rendevano le città irriconoscibili. Sebbene il progresso fosse al centro dell’ideologia modernista, le città erano concepite come macchine per servire una forza lavoro dedicata alla produzione del futuro.
Insieme alla moglie psicologa, Gehl ha tenuto gruppi di discussione informali sulla disparità tra l’ideale modernista e la qualità della vita per l’abitante urbano. Dopo un viaggio in Italia nel 1971, dove Gehl studiava come la popolazione si muoveva attorno agli spazi urbani, forgiò il suo principio guida: che le persone erano state rimosse dall’equazione della pianificazione urbanistica modernista e che gli abitanti della città dovevano venire prima.
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